L’AQUILA – di Floro Panti – La tomba dove San Pietro Confessore era stato sepolto nel 1296, si trovava nel Monastero Celestino di S. Antonio Abate, posto fuori le mura di Ferentino. Il luogo era oggetto di continui pellegrinaggi, e molti erano i miracoli e le guarigioni che avvenivano. Le visite dei fedeli aumentarono considerevolmente dopo la Canonizzazione avvenuta nel 1313, nonostante la presenza di predoni che tendevano agguati ai pellegrini. Questi pellegrinaggi divennero più difficoltosi a causa di una guerra scoppiata nel 1327 fra Anagni e Ferentino. I monaci Celestini Aquilani con il Comune che da anni volevano portare il Santo nella Città dell’Aquila, colsero il momento e cominciarono a trattare in segreto con i confratelli Celestini del Monastero di S. Antonio Abate. Nel medioevo infatti, si attribuiva grande valore al possesso delle reliquie dei santi; possedere il corpo di un santo significava garantirsi un contatto privilegiato con la sfera del soprannaturale; avere un luogo santificato da una reliquia dava la certezza che Dio si sarebbe manifestato in quel luogo. Soprattutto il popolo, nel quale sopravvivevano tratti di mentalità arcaica, viveva la santità quasi come una qualità fisica che potesse essere comunicata dalle vesti e dal corpo del santo solo al contatto per ottenere miracoli e guarigioni.

Monastero Celestino di S. Antonio Abate – Ferentino (FR)

Avere quindi il Santo corpo alla Basilica dove si celebrava ormai da oltre trenta anni il Giubileo della Perdonanza nonostante tutti i divieti iniziali posti da Bonifacio VIII, avrebbe potuto incrementare i pellegrinaggi all’Aquila in occasione  della ricorrenza annuale della celebrazione  e alla fiera alla stessa collegata.

Gli abitanti di Ferentino, avendone avuto sentore, raggiunsero allora il monastero, con un gruppo di armigeri, il Vescovo e il clero e prelevarono il corpo del Santo dalla tomba, contro il volere dei monaci, portandolo all’interno delle mura cittadine e depositandolo nella Chiesa di Sant’Agata.  Qui chiusero le sacre spoglie dentro una cassa, vi legarono delle corde tutt’intorno, vi impressero i sigilli chiudendola poi dentro un’altra cassa più grande.

Il priore di Sant’Antonio contrario a questo prelievo forzoso, informò subito il visitatore Provinciale dell’Ordine che si trovava a Sora, questi si recò immediatamente a Ferentino e ottenne che fossero i monaci Celestini a turno a custodirne la cassa.

I ferentiniani però ancora sospettosi, disposero che oltre ai monaci la custodia fosse affidata anche agli abitanti del contado. Questo non bastò a far sì che nottetempo di un giorno del mese di gennaio 1327, i monaci fra Biagio di Forcapalenafra Pietro da Rasino aquilano, e un non meglio definito fra David di turno di guardia, riuscissero ad aprire le casse, a prelevare le spoglie del Santo, e dopo averle avvolte in un lenzuolo nasconderle all’interno di un materasso. Rimisero successivamente tutto a posto in modo che esternamente nessuno si potesse accorgere di niente.

Alle prime luci dell’alba ci fu il cambio della guardia alla tomba e, nonostante la folla ferma dinanzi alla porta della chiesa, il materasso contenente le sacre reliquie passò senza problemi; ai cittadini che chiedevano il perché di questo strano trasporto, i frati risposero che lo stavano riportando al loro Monastero di Sant’Antonio, perché serviva per far dormire il loro Visitatore Provinciale, venuto ospite al Monastero. Con questo stratagemma i tre monaci si allontanarono dalla Città, dirigendosi alla volta dell’Aquila.

Proprio quella mattina, le truppe di Anagni posero assedio a Ferentino e questo durò fino la sera, dando così un certo vantaggio ai frati, essendo come facile immaginare, gli abitanti occupati nella difesa della Città.  Soltanto a sera inoltrata i custodi della tomba si resero conto che qualcosa era successo e, aperte le casse, si accorsero che queste non contenevano più le ossa del Santo.

I tre Celestini in viaggio verso L’Aquila, nel loro “percorso” probabilmente passarono per Veroli, per la Badia di S. Bartolomeo di Trisulti, Filettino e Collelongo, incontrando non poche difficoltà, poiché dovettero superare i Monti Ernici in pieno inverno.

La data di arrivo delle reliquie a Collemaggio fu il 27 gennaio 1327.  Priore della Basilica e Camerlengo del Comune di Aquila era Giovanni da Spoleto.n.d.a Il Camerlengo era in pratica il “responsabile amministrativo” del Comune carica che i monaci Celestini ricoprirono nel sec XIV con diversi Priori.)